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redazione

“Poor Things”, Stone creatura mostruosa per Lanthimos a Venezia



VENEZIA (ITALPRESS) – In una 80ma Mostra del Cinema attraversata da una vena gotica fuori norma, dopo “El Conde” di Pablo Larrain giunge in Concorso anche “Poor Things”, che il greco apolide Yorgos Lanthimos ha tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore e artista visivo inglese Alasdair Gray. Prodotto e interpretato con una verve surreale da Emma Stone, il film è infatti una sorta di rilettura astratta del mito della Creatura di Frankesntein, il cui i concetti di creazione, istinto, libero arbitrio e rispetto della vita diventano materia per una fiaba grottesca e visionaria, che ha travolto il pubblico del Lido. Emma Stone dà vita al personaggio quasi surreale di Bella, una donna che nella Londra d’inizio ‘900 viene riportata in vita dal geniale chirurgo deviante Godwin Baxter, interpretato da un formidabile Willem Dafoe dal volto percorso da vistose cicatrici. Lo scienziato ha infatti utilizzato il suo corpo per realizzare un esperimento folle: recuperata dalle acque del Tamigi, la donna, suicida incinta, viene rigenerata sostituendo il suo cervello con quello del feto che portava in grembo. Il risultato è Bella, una donna adulta che però si comporta come un infante e sta imparando a parlare, muoversi, comportarsi, vivere… Aiutato dall’assistente Max, Godwin culla la creatura nella sua grande casa, dove le consente di formare le sue emozioni senza inibizioni, acquisendo progressivamente le cognizioni fisiche, morali, comportamentali e quindi la conoscenza di cibo, sesso, giusto e sbagliato… La sua curiosità verso il mondo esteriore la porta in contatto con l’avventuriero sessuomane Duncan Wedderburn (un Mark Ruffalo straordinario) che la porta con sè in un viaggio a Lisbona e poi a Parigi, durante il quale la consapevolezza di sè della donna si coniuga con la formazione di idee politiche, sociali, culturali che la trasformano e la rendono libera. E’ l’inizio della fase conclusiva della parabola, che vede il padre di Bella e lo stesso assistente Max, invaghito di lei, farsi da parte per permettere a questa creatura dalla volontà così spiccata di compiere il proprio destino. Con “Poor Things” Yorgos Lanthimos firma un film dalla estrema capacità affabulatoria, pervicacemente visionario nella definizione degli scenari d’inizio ‘900 in chiave fantascientifica, che definiscono un mondo immaginato come in una performance artistica e pittorica. Le riprese grandangolari deformano la visione e aderiscono alla rappresentazione grottesca delle azioni e delle conseguenze, calando i personaggi in una parabola filosofica che tiene insieme Voltaire e la Shelley, Candide e Frankenstein, ma anche il Truffaut del “Ragazzo selvaggio” e il Philip K. Dick di “Blade Runner”. La cosa formidabile è che, a fronte di un apparato così complesso e rischioso, “Poor Things” risulta un film dotato di una autentica capacità ipnotica, che trascina lo spettatore in un vortice visionario e concettuale dal quale esce più stupito e consapevole che stordito e spiazzato. Il merito è della sceneggiatura calibratissima di Tony McNamara, che aveva già collaborato con Lanthimos per “La favorita”, e della regia del filmmaker greco, che tiene le fila di un’opera dall’immaginario vario e cangiante con uguale spirito grottesco e filosofico. Ma anche degli interpreti, che si fanno carico di trovare il il tono giusto per dare vita a personaggi fuori da ogni norma.

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