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  • direzione167

Voglia di rinascita per Marco Tullio Barboni.


Il 2024, per Marco Tullio Barboni, sarà un anno all’insegna della rinascita personale. Il noto soggettista, sceneggiatore e scrittore sta cambiando pelle. Ricordiamo qualche passaggio biografico che lo riguarda. Appartiene ad una famiglia di “cinematografari”, una delle più importanti del nostro Paese. Lo zio Leonida è stato un magistrale direttore della fotografia ed il padre Enzo - prima operatore alla macchina poi direttore della fotografia ed infine regista con lo pseudonimo di E.B. Clucher - l’inventore del genere fagioli western. A partire da quell’ intramontabile cult movie passato alla storia con il titolo di “Lo chiamavano Trinità” (uscito nel mese di dicembre del 1970), Enzo Barboni ha fatto una carriera straordinaria, ed ha ottenuto un posto di diritto nella storia del Cinema. Frequentatore di set fin da bambino, molto spesso nelle vesti di comparsa (“La baia di Napoli”, “Ben-Hur”, “Barabba”, “I quattro monaci” “Un treno per Durango” e “Django”), Marco Tullio è di fatto cresciuto a pane e cinema. Non si è risparmiato nemmeno un forte impegno negli studi universitari (Laurea in Scienze Politiche con tesi sull’istituto della censura), e poi la frequentazione di una serie di stage (di regia, tenuti da Paul Gray e Ron Richard; di sceneggiatura, tenuto da Robert Mc Kee; di struttura e sviluppo del seriale TV, tenuto da Morton Zarkoff; di story analysis and rewriting structure, tenuto da Linda Seger). L’amore per il Cinema via via prevale nella sua vita, e dal 1981 comincia a firmare i soggetti e le sceneggiature che scrive, prima lavorando con il padre (seguendo in quei casi tutta la lavorazione, dall’ideazione al missaggio), poi anche per numerose altre produzioni. Dopo aver scritto una quarantina tra film ed episodi televisivi, il desiderio di affrontare tematiche diverse e di farlo in maniera totalmente libera, lo induce ad una incursione “free lance” nella regia. E dalla regia alla letteratura, dove da alcuni anni professa con successo la professione di scrittore.

Un anno vecchio sta terminando ed uno nuovo sta per profilarsi all’orizzonte. E’ tempo di bilanci.

Per quello che mi riguarda l’anno che sta per concludersi ha rappresentato una sorta di ossimoro: indimenticabile e da dimenticare. La vita mi ha, infatti, messo davanti ad una di quelle prove che costringono a concentrare tutte le energie sulla loro soluzione: una patologia imprevista ed imprevedibile non essendo in alcun modo connessa al mio stile di vita; decisamente seria ma, quantomeno in quest’epoca e a queste latitudini, assolutamente curabile. Molto quindi da buttare alle spalle per non gravare sul futuro, e molto di cui fare tesoro per apprezzarlo ancora di più.

Nel 2024 è in programma l’uscita del tuo prossimo libro. Anticipiamo qualcosa?

Gli accadimenti cui ho appena accennato hanno comportato inevitabilmente uno slittamento nei tempi di stesura, ma anche un opportunità per perfezionare l’arco narrativo della vicenda. In questa occasione non replicherò la struttura dialogica utilizzata miei primi tre libri, dei quali tuttavia manterrò la cifra stilistica, vale a dire l’intenzione di affrontare una materia solitamente appannaggio di una saggistica dotta (ma inevitabilmente pesante) con una leggerezza tale da renderla più facilmente fruibile. Conservandone, tuttavia, integralmente il significato.



La letteratura italiana dove sta andando?

Domanda impegnativa. Personalmente, e mi si perdoni il paragone spericolato, ho l’impressione che l’attuale “schieramento” degli scrittori italiani ricordi quello della nazionale di calcio: diverse eccellenze, ma nessun autentico fuoriclasse. Nel complesso, tuttavia, credo di poter dire che il panorama è senz’altro vivace e variegato, e che non mancano occasioni per letture di notevole interesse, sia dal punto di vista contenutistico che da quello stilistico. Molto meno rassicurante è la situazione se si considerano coloro che delle opere letterarie dovrebbero usufruire, e cioè i lettori. In particolare quelli delle nuove generazioni. Non solo hanno una scarsa proclività alla lettura, ma tendono ad acquisire una forma mentis che, probabilmente a causa del linguaggio dei social, li allontana da una gratificante fruizione dell’opera scritta. Un esempio per tutti: Umberto Eco diceva che per apprezzare davvero un libro, i suoi contenuti, le sue sfumature, le sue atmosfere, è necessario trovare il passo giusto per la lettura di quell’opera. Necessariamente diverso a seconda che si tratti, ad esempio, di un romanzo di Grisham o di uno di Chandler. Ebbene, immagino sarà capitato anche a vuoi, di notare dei giovanissimi ascoltare sul proprio cellulare i messaggi vocali accelerati. I ritmi concitati della comunicazione cui sono abituati li induce a omologare tutti sullo stesso tono, facendo loro perdere ogni accento ironico o preoccupato, ogni intenzione, ogni aspetto diverso dal puro contenuto del messaggio. Quanto una simile attitudine sia agli antipodi rispetto al prezioso insegnamento di Umberto mi pare fin troppo evidente.

Tempi storici davvero difficili quelli che il mondo sta vivendo. Da intellettuale, come commenti questa affermazione? Quali elementi ti creano più preoccupazione e timori?

A livello globale la situazione è sicuramente difficile e complessa. Ma sinceramente non credo che lo sia di più rispetto a cinquanta o cento anni fa. Non voglio dire, alla maniera del Candide di Voltaire, che quello in cui viviamo è il migliore dei mondi possibili, ma tenendo conto delle “tipicità” di chi lo abita penso che sarebbe stato illusorio sperare in qualcosa di meglio. Le lotte per il predominio degli uni sugli altri, la mancanza di consapevolezza per le conseguenze dei propri comportamenti, la priorità del denaro rispetto a qualsiasi altro valore sono solo alcuni dei frutti avariati di cui ci si continua impunemente a cibare decennio dopo decennio. La preoccupazione è che, prima o poi, la vita, quella del pianeta e quella del genere umano, decida di presentare il conto. E allora non basteranno un vaccino o una ritrovata tardiva solidarietà a cavarci dai guai nei quali la nostra cecità ci ha condotto.

L’ultimo libro letto.

Le circostanze cui ho inizialmente fatto cenno hanno sottratto tempo ed energie al lavoro, ma lasciato più spazio alla lettura. E così ho deciso di intraprendere quella de “L’idiota” di Fedor Dostoevskij, opera straordinaria e monumentale lasciata colpevolmente nel limbo dei libri in attesa del momento giusto per essere letti. Evidentemente c’è del vero nell’affermazione che non tutti i mali vengono per nuocere. Dostoevskij racconta le vicende del principe Myskin, un uomo assolutamente buono, ligio alla sua coscienza e di una limpida bellezza morale, ma che proprio per tali caratteristiche viene considerato nell’ambiente un cinico, disincantato e totalmente disabituato a quei valori in cui si trova a vivere, un inguaribile ingenuo. Un idiota, appunto. Quando poi si innamorerà, quella solitudine causata dalla bellezza del suo animo diventerà sempre più traumatica, conducendolo ad un drammatico finale. Un poderoso atto di accusa nei confronti di un mondo che non solo non conosce, ma che non merita di essere affrancato dai valori di cui il protagonista è portatore.

Il prossimo libro, invece, che giace sul comodino in attesa di essere letto?

“Il codice dell’anima” di James Hillman. Altra opera fondamentale da troppo tempo in attesa di essere letta.



Il prossimo viaggio culturale dove sarà?

Vorrei tornare a Madrid. Vi ho trascorso più di un anno della mia prima adolescenza e sono davvero curioso di ritrovare certi luoghi e riassaporare certi sapori che sono rimasti indelebili nella mia memoria.

L’America, terra a te nota per via dei tuoi trascorsi cinematografici da sceneggiatore sui set con tuo padre (e non solo). Se dovessi scegliere solo un frame dalla memoria riguardante l’America, quale sceglieresti? E perché?

Non è facile scegliere tra tanti momenti e panorami straordinari. Ma quello che forse più di tutti mi si è impresso nel cuore è stato un tramonto nella Valle dei Monumenti. Una immagine che raccoglie ed enfatizza la prepotenza della natura, la magia della luce e l’epopea di un Paese. L’umano e il divino, l’attimo e l’eternità in un unico, ineguagliabile fotogramma.


Lisa Bernardini



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