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  • direzione167

Filippo Golia : notizie di un giornalista perbene.



Foto  Ilario Citton


Un libellum tra i tanti, nascosto tra i miliardi di titoli nuovi usciti sul mercato editoriale italiano ogni anno. Colpisce il titolo: Notizie per Bartleby del giornalista del Tg2 Filippo Golia. Riaffiorano alla memoria personali memorie scolastiche. Bartleby...Carneade, chi era costui? In realtà, Bartleby non è affatto nome poco noto, perché rimanda al titolo di un libro di Herman Melville : "Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street", racconto pubblicato all'inizio anonimamente, in due parti, sulla rivista Putnam's Magazine. A novembre e dicembre 1853. Solo successivamente esso fu incluso nella raccolta The Piazza Tales con alcune modifiche di testo. Cosa ci fa venire alla mente, invece, il nome di Herman Melville? Beh...è il medesimo scrittore newyorkese (invero, anche poeta e critico letterario) che ha scritto nel 1851 il romanzo Moby Dick, considerato uno dei capolavori della letteratura americana. Anzi, mondiale. Non proprio uno degli ultimi, insomma.

Dicevamo: Bartleby lo scrivano.

Celebre la risposta ossessiva di questa figura letteraria di Merville: Preferirei di no, che era solito tirar fuori a chi pensava di potergli far fare qualsiasi cambiamento rispetto alla quotidianità del suo essere ed agire. Nel romanzo di Merville, in principio lo scrivano esegue diligentemente il lavoro di copista, ma poi si rifiuta di svolgere altri compiti, sconcertando il suo principale proprio con questa risposta, sempre la stessa: Preferirei di no (nell'originale, I would prefer not to). Poi, Bartleby smette addirittura di lavorare in generale, citando come unica spiegazione sempre la medesima frase. Vi invitiamo ad approfondire questa storia, molto discussa, spesso considerata precorritrice dell'esistenzialismo e della letteratura dell'assurdo.

Veniamo adesso a Filippo Golia. Solo ad una mente giornalistica rara come la sua (intendendo con rara un compendio di genialità, cultura, curiosità) poteva venire in mente di partorire un esperimento poetico usando dispacci di agenzie di stampa selezionati in un lungo periodo di tempo, provando a dimostrare (e riuscendoci) che, cambiando forma all’Informazione, si potevano produrre ed evocare significati impensati. Il cortocircuito (accogliamolo con gioia, perché invita necessariamente alla riflessione profonda di quante realtà troppo frettolosamente passino nelle maglie dei media e non siano “viste”, seppure guardate e lette) tra l’espressione e l’espressività delle pagine del libro di Filippo Golia produce una trasformazione impensabile : l’abito della forma poetica sconvolge il senso delle frasi delle agenzia di stampa selezionate, ne cambia il ritmo, e fa in modo che quelle date tragedie a cui si accenna in lanci asettici (talvolta somiglianti anche ad episodi da commedia o da teatro) possano reincarnarsi infinite volte quante possono essere le vie

dell’intenzione poetica indotta. In che modo? Attraverso artifici stilistici pensati dall’Autore, come il “mandare a capo” una frase o usare semplicemente qualche ripetizione di parola per rafforzare un concetto. Null’altro di posticcio che alteri il testo nudo e crudo arrivato in redazione, ma...tutto all’apparenza cambia.

E’ alla fine del libellum che l’intelligenza viva di Filippo Golia mette all’angolo il lettore...quello stesso che, ignaro, si è avventato su una operazione bizzarra di attenzione verso un libricino dal titolo curioso e dall’incerto contenuto. Perché, direte voi? Perché il preferirei di no dello scrivano Bartleby costringe ad interrogarsi nostro malgrado su cosa ci spaventi della nostra quotidianita’... su cosa non vogliamo neanche provare a mettere in discussione del nostro lavoro, del modo in cui ci approcciamo a quella parte di reale che non ci riguarda direttamente. E pertanto sembra non sfiorarci. Le notizie che Filippo Golia, invece, legge ogni giorno e su cui prova per un lungo periodo di tempo ad imprimere un ritmo di poesia - lui stesso restandone a tratti ipnotizzato - sono fatti realmente accaduti, e non una finzione del reale. Non esiste solo un unico scrivano Bartleby che non vuole spostare di una virgola ciò che accade nel suo mondo. Esistono (vivaddio!) anche giornalisti come Filippo Golia che, nonostante tanti anni di lavoro in zone calde del mondo, non hanno perso la voglia di fare un mestiere tra i più belli. Filippo è rimasto intellettualmente sveglio, attento alle sfumature, non abituato al dolore muto di certe notizie. Le nota, eccome. E prova a farne poesia, per alleggerire il peso morale di cui sono portatrici.

Non è straordinario? Un inviato di guerra che si è sempre occupato di affari esteri e relazioni internazionali, che ha nella sua vita incursioni da intellettuale nel mondo della letteratura, delle favole e della poesia (vi invitiamo a conoscere i suoi lavori finora pubblicati, ed i suoi interessi al di là del mondo RAI), e che concepisce finanche un libricino “assurdo” come questo.

Dalla narrazione del Bartleby di Morville, sappiamo che lo scrivano aveva in precedenza lavorato all'ufficio delle lettere smarrite di Washington. Si può così ipotizzare, pertanto, che il maneggiare queste lettere morte lo abbia condotto alla depressione e al suo bizzarro comportamento.

Di Filippo Golia, invece, abbiamo la certezza che non ha ceduto alle pressioni del conformismo in una società odierna che tende ad appiattire la mente delle persone, perché’ anche oggi che organizza il lavoro della redazione TG2 e degli altri inviati e non viaggia più per il mondo, mantiene intatta la passione per quello che gli accade intorno, con lo stile garbato che lo ha sempre contraddistinto come professionista. Si interroga. Si fa domande. Prova a cercare risposte. E l’isolamento sociale e l’ inedia dello scrivano Bartleby non li conosce. Raramente un giornalista di vecchio corso

come lui riesce a conservare intatti negli anni passione, vigore e volontà di essere ben presente al funzionamento del pianeta Terra e di tutto ciò che gli gira intorno. Al di là del mestiere che troppo spesso si trasforma in routine, e che rischia di far abituare alle tragedie così come alle commedie degli uomini. Quando miracoli così accadono, si alimenta la speranza che il giornalismo costruttivo continuerà ad esistere, perché continueranno ad esistere giornalisti che ameranno fare il loro lavoro, intendendolo come una missione e non come uno stipendio. Che continueranno a “sentire” le vicende del mondo, provando a raccontarcele con coscienza critica ed etica professionale.

Lisa Bernardini .

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