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Jovanotti torna in tv con il “docutrip” Aracataca




ROMA (ITALPRESS) – Dall’Ecuador alla Colombia, dalle Ande all’Amazzonia e dall’Oceano alla mitica Macondo, la città immaginata da Gabriel Garcìa Marquez nel suo “Cent’anni di solitudine”. È il viaggio di 3.500 chilometri “pedalato e filmato” (con una piccola action camera e con un cellulare) da Lorenzo Jovanotti il cui racconto, intitolato “Aracataca”, arriva su RaiPlay il 24 aprile. Ventidue puntate da circa 17 minuti l’una che arrivano a distanza di tre anni dal primo “docu-trip” di Jovanotti, intitolato “#novogliocambiarepianeta” che si rivelò un successo da un milione di visualizzazioni il primo giorno e cinque in quelli immediatamente successivi. «È un racconto, non c’è nessuno che vince o che perde e nessuno viene eliminato. Un racconto on the road sul solco della tradizione iniziata con l’Odissea» spiega Jovanotti. E racconta: «Chiusi in casa con il Covid, eravamo stati travolti dal successo della prima edizione così, appena si sono riaperte le possibilità di partire ho pensato subito a un nuovo viaggio. Viaggiare è ancora una delle esperienze più belle che uno possa fare. In un’epoca di passioni tristi, viaggiare è una forma di militanza per stimolare le emozioni gioiose dell’incontro con gli altri, della fatica, di un sorriso che dura un attimo ma ti lascia una luce dentro. Viviamo in un bombardamento di notizie e abbiamo la sensazione che il mondo ci raggiunga senza spostarci, invece il mondo devi raggiungerlo. Per me è il senso della vita. Il mio spirito è ancora quello avventuroso di quando guardavo la tv dei ragazzi. Quando mi dicono “tu pensa a cantare”, penso che invece sarebbe un peccato per me limitarmi solo a cantare». Spiegando che il titolo, “Aracataca”, è il nome della città natale di Gabriel Garcìa Marquez («”Cent’anni di solitudine” per me è un testo sacro»), Jovanotti racconta di avere raccolto circa 70 ore di materiale con «immagini un po’ rudimentali perché ho voluto limitare l’uso di mezzi tecnici. Ormai usano i droni anche nelle fiction! Abbiamo montato il materiale a istinto, cercando di capire cosa funzionava di più».

Il viaggio è stato faticoso, soprattutto in Colombia («Lì non hanno fatto le discese. Arrivi in cima è c’è un’altra salita!»), e il luogo che più gli è rimasto nel cuore è l’Amazzonia: «Quando dormi nella foresta hai la sensazione di essere in una pancia. C’ero già stato e, rispetto all’altra volta, ho trovato che sono aumentate le tecniche di estrazione del petrolio meno impattanti. Anche lì è iniziato un processo, c’è una maggiore consapevolezza del patrimonio che hanno. Si rendono conto di abitare in un luogo sacro del pianeta, quello che ci rifornisce di ossigeno. Tante cose stanno cambiando anche lì in America Latina: c’è più sensibilità, ci sono messaggi di difesa dell’ambiente e quelli che invitano a evitare la caccia agli animali selvatici. È un processo lento, è vero, ma io mantengo aperti la speranza e l’ottimismo». Jovanotti è consapevole, grazie al suo viaggio in bicicletta, di essere un testimonial seppure involontario delle due ruote: «Più che testimonial sono un testimone perché io lo faccio davvero. Adoro la bici ma senza agonismo. Lo considero uno sport solitario, quasi una forma di meditazione che consiglio a tutti e a tutte le età». Il cicloturismo, tuttavia, riesce a praticarlo solo all’estero «perché in Italia ho l’ingombro della mia faccia. Ogni volta diventa una performance». E poi, va detto, l’Italia non è propriamente un Paese per ciclisti: «Da noi le ciclabili non sono ancora una soluzione compiuta quanto, piuttosto, un contentino al traffico e spesso anche segnalate solo con una striscia di vernice su cui, magari, parcheggiano le macchine. Non sono piste ciclabili ma suggerimenti».

Anche pericolosi, come dimostra l’ennesima tragedia, con la donna trentanovenne travolta a Milano mentre era in bicicletta: «Non è la prima e non sarà l’ultima. Mi rendo conto che realizzare vere piste ciclabili in città come Roma o Milano, costruite per una mobilità a motore non è facile, ci vorrebbero modifiche strutturali. Però io quando vado a Milano preferisco andare per la strada perché sulla ciclabile ti senti al sicuro e stai meno attento e non è proprio il caso». Tornando ad “Aracataca”, Jovanotti afferma che il progetto è nato dalla necessità di «aggiornare il mio sistema operativo e riformattarlo. La pandemia ha coinvolto tutti, è stato un trauma collettivo ma per e ha coinciso anche con un’esperienza personale difficile che, per fortuna, si è risolta. Dovevo aggiornare il sistema alla luce di questa esperienza che mi ha aiutato a capire che ogni giorno in cui c’è la salute mia e delle persone che mi sono care è benedetto dal Cielo, è un dono al quale non voglio abituarmi». E, dunque: «Voglio sentire la vita perché spesso siamo vivi ma non ce ne accorgiamo, non sentiamo la vita scorrerci dentro. Per questo è importante viaggiare perché farlo cambia la prospettiva. Oggi sono tante le informazioni che ci inducono a rinunciare perché sembra che tutto sia già dentro lo schermo di un telefonino ma non è così. Per questo dico ai ragazzi: uscite, siate scomodi, rischiate di cambiare idea e prospettiva, leggete tutto quello che potete dai giornali alle riviste ai libri e alle insegne che vedete per strada. Non vi fate fregare perché la natura di ogni potere è quella di volervi tristi. Non è una critica, è la sua natura e non lo dico io, lo diceva Spinoza. Perché, se siete tristi, siete manipolabili e invece per dialogare con il potere bisogna cercare di non chiudersi nella tristezza». Jovanotti, continuando a rivolgersi ai giovani, torna sul tema della pandemia: «Questi tre anni per voi sono stati più difficili che per tutti gli altri. Oggi negli adolescenti avverto i sintomi di uno stress post traumatico. Per affrontarlo uno dei metodi è viaggiare, andare in una città che non conoscete, visitare un museo, imparare una lingua. Se “Aracataca” contribuisse a mettere in circolo questa idea, sarebbe già un successo».

A chi gli chiede se, pur amando viaggiare da solo, chi sceglierebbe tra i suoi colleghi come compagno di viaggio, Jovanotti risponde senza esitazione Biagio Antonacci: «È uno sportivo e tiene al fisico. Invece non potrei viaggiare con Eros (Ramazzotti, ndr) perché è pigro e vuole l’albergo figo. Una volta eravamo a New York in un ristorante giapponese e lui voleva mangiare la pizza!».

Jovanotti conclude affermando che i pezzi scritti per la colonna sonora di “Aracataca” non diventeranno un disco: «L’unico modo per sentirli sarà guardare la serie, anche se c’è qualcosa che potrebbe diventare un disco».

Comprensibilmente soddisfatto dell’arrivo di “Aracata” il direttore di Rai Distribuzione Marcello Ciannamea che lo definisce «una grande occasione per la Rai e, in primis, per RaiPlay. È un racconto che si concentra su valori fondamentali che vogliamo trasmettere al pubblico come le relazioni con le persone e il rapporto con il territorio. E anche la bici, visto che tra poco inizia il Giro d’Italia». Con lui Elena Capparelli, direttrice di RaiPlay e Digital: «Penso che una piattaforma Rai debba ospitare questo tipo di offerte. In questo viaggio c’è tutto: Lorenzo con la sua bicicletta il rapporto con il paesaggio e con le persone, il cibo, la fatica, l’impegno e l’autoironia. E tutto è estremamente colorato, con una grande quantità di sorrisi».

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