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Perché troppi americani sostengono il “dittatore” Trump




NEW YORK (ITALPRESS) – Cosa succederebbe se Donald Trump fosse rieletto alla Casa Bianca? La presidenza degli Stati Uniti non è un “business” che debba preoccupare soltanto gli americani. Almeno dal 1945, gli Stati Uniti sono la “nazione indispensabile” del pianeta. Per sciogliere certi nodi e contenere i maggiori pericoli internazionali – come il cambiamento climatico, la riconversione energetica, le migrazioni di massa, la guerra in Ucraina, la guerra in Medio Oriente – non si può far a meno del coinvolgimento e leadership americana.

In un celebre libro, scritto agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, Paul Kennedy, storico inglese che insegnava a Yale, sostenne che gli USA, come tutte le grandi potenze mondiali che avevano gestito “imperi”, erano destinati al declino e quindi ad essere sostituiti. La tesi di quel fortunato saggio chiamato “Ascesa e declino delle grandi potenze” è che gli “imperi” devono dedicare nel loro budget una percentuale sempre crescente alla spesa militare e non riuscendo più a contenerla, falliscono…

Scritto oltre 30 anni fa – tempo troppo breve per “scomunicare” il saggio storico di Kennedy – si ha la tentazione di chiedersi se quello che sta accadendo agli Stati Uniti sia un segnale del loro decadimento. Non perché il “fallimento” sia di tipo economico-finanziario – al contrario secondo certi dati, l’economia americana continua ad avere una buona “performance” – ma di tipo istituzionale.

Secondo l’accusa in un tribunale federale che sta processando Trump, il 6 gennaio 2021, il Congresso veniva assalito da una folla inferocita che credeva alla menzogna delle “elezioni truccate” in favore di Joe Biden, perché era stata organizzata e aizzata dal 45esimo presidente. Oltre a queste terribili accuse, arrivano le recenti dichiarazioni dello stesso Trump, che non smentiscono ma anzi confermano i sospetti che con il suo ritorno alla Casa Bianca, voglia instaurare una dittatura (solo per un giorno? Per la Prof. Ruth Ben-Ghiat, storica della NYU esperta di regimi dittatoriali, non sono mai esistiti i dittatori a scadenza di 24 ore…). Nonostante tutto ciò, circa il 60% degli elettori repubblicani vuole Trump per la “nomination” del partito.

Quindi o questi elettori del GOP non credono alle stesse dichiarazioni del loro candidato preferito e, seppur abbia dei progetti “eccentrici” per governare, sono convinti che con la sua rielezione Trump non assassinerebbe la democrazia americana; oppure questa maggioranza di elettori del GOP credono che gli USA abbiano bisogno di una dittatura per risolvere i loro problemi e non soccombere alle sfide mondiali (che loro percepiscono nelle masse di migranti alle frontiere lasciate “aperte”, alla tecnologia informatica che nel mercato del lavoro li mortifica rispetto ai guadagni delle élite, nel tenersi lontani dai conflitti mondiali con un rinnovato “isolamento” americano).

Mancano meno di tre settimane ai Caucus dell’Iowa (a differenze delle primarie dove il voto è segreto, in queste gruppi di cittadini si riuniscono allo stesso giorno e orario, per discutere tra loro e poi stabiliscono a quale candidato vanno le loro preferenze) e meno di un mese dalle primarie del New Hampshire. Trump, rispetto agli altri contendenti repubblicani rimasti, appare imbattibile a meno di una immediata e improbabile “uscita” dalla corsa di tre candidati. Ormai la scelta su chi tenere cade tra il governatore della Florida Ron De Santis e la ex governatrice della Sud Carolina Nikki Haley (i soldi di Wall Street preferiscono l’ex ambasciatrice all’Onu di Trump), per l’arduo incarico di fermare l’ex presidente che vuol diventare 47esimo degli USA.

Il cosiddetto “establishment” degli Stati Uniti (l’insieme di interessi-poteri economici, politici, giudiziari, mediatici e dell’industria spettacolo di Hollywood) per cercare di fermare la corsa di Trump verso la riconquista della Casa Bianca, aveva posto le sue speranze sulla “via giudiziaria” (sono ben 4 processi contro Trump in cui si prevede di riuscire ad arrivare alle sentenze ben prima delle elezioni). Accorgendosi che nonostante i guai giudiziari i sondaggi nei confronti di Trump continuano a favorirlo – nel 2015, lo stesso Tycoon dichiarò che avrebbe anche “potuto sparare a qualcuno sulla Quinta Avenue e mi voterebbero comunque” – adesso si accelera nella diffusione a tutti gli americani del “programma” che lo stesso candidato già presidente, in ogni comizio elettorale, enuncia pubblicamente ai suoi elettori. Basta ascoltare certe dichiarazioni “vendicative” di Trump, per accorgersi che neanche Mussolini avrebbe prima del suo incarico a capo del governo “rivelato” così tanto. Eppure anche questo mettere in guardia la maggioranza degli americani del mortale pericolo per la loro democrazia, non sembra finora che si abbiano gli effetti sperati su chi resta pronto a rivotarlo.

Ma chi sta cercando di capire invece le ragioni del perché milioni di americani preferiscono “il pistolero della Quinta Avenue” a qualsiasi altro candidato? Tra i mandarini del Partito democratico, che per ora sembrano confermare Joe Biden – il presidente che a tre anni dalla sua elezione, nei sondaggi ha l’indice di gradimento più basso mai raggiunto da tutti i presidenti eletti dal dopoguerra – nessuno provvede a dare risposte.

L’anziano senatore del Vermont, Bernie Sanders, da sempre tocca certi temi che hanno fatto la fortuna elettorale di Trump. Per questo da candidato per la nomination democratica alla Casa Bianca nel 2016 e nel 2020, ebbe un eccezionale consenso. Ma lui resta un “indipendente” (per giunta “socialista”) e non correrà più per nessuna nomination.

Invece, Robert Kennedy jr, figlio di RFK – senatore ucciso nel 1968 mentre cercava di essere eletto alla Casa Bianca – e nipote del 35esimo presidente JFK, ha molti punti nel programma che sembrano simili a quelli di Trump, senza però il condimento degli attacchi alla Costituzione o alle regole della democrazia. Per questo nei sondaggi RFK jr è in testa ai gradimenti degli americani a livello nazionale, anche se al momento, nella scelta di voto, questi lo vedono per ora al terzo posto con circa il 17%, che per un indipendente è un risultato enorme.

Non sembra che nessuno tra i contendenti per la nomination repubblicana, né chi governa il Partito Democratico, voglia fare quello che serve per battere Trump.
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