PALERMO (ITALPRESS) – La cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro ha trovato grande spazio anche nella relazione del presidente della Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca, sull’amministrazione della Giustizia stilata in occasione della cerimonia dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, nel capoluogo siciliano. Presente, tra gli altri, il vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, fresco di nomina. “Le Forze di Polizia, sono modello di efficienza e alle quali rinnovo ancora una volta, in questa solenne occasione, la mia gratitudine per l’impegno che profondono quotidianamente in tutti i compiti istituzionali – sottolinea Frasca -. Un impegno che appena pochi giorni fa è stato coronato dalla cattura di Matteo Messina Denaro alla quale è stata destinata una paziente, lunga e defatigante opera di investigazione gestita con un’azione corale sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Palermo e portata a termine nell’assoluto rispetto delle regole di uno Stato di diritto dai Carabinieri ai quali rivolgo un elogio particolare”. Il presidente della Corte d’Appello di Palermo, però, avverte che occorre “avere piena consapevolezza della necessità di non arretrare minimamente nell’azione di contrasto alla criminalità mafiosa, che, per quanto duramente colpita nella sua struttura dalle continue brillanti operazioni di polizia e dall’esito dei processi, non può certamente ancora ritenersi sconfitta, conservando un radicamento rilevante nel territorio e nel tessuto economico e sociale, la cui erosione è lenta e difficile”. L’arresto di Matteo Messina Denaro, per Frasca, acquisisce un duplice valore “completa la lunga e difficile operazione di smantellamento della componente stragista dell’organizzazione” e “apre prospettive investigative potenzialmente straordinarie che l’azione corale delle Istituzioni potrà valorizzare in direzione di ambiti diversi da quelli strettamente connessi con il latitante”. Proprio sulla rete dei fiancheggiatori, il presidente della Corte d’Appello si sofferma in maniera puntuale: “La inquietante rete di protezione a diversi livelli di cui ha beneficiato il latitante, senza la quale non avrebbe potuto sottrarsi per così lungo tempo alla cattura, pone seri interrogativi e apre scenari per certi versi inesplorati sul grado di penetrazione di Cosa Nostra nel tessuto sociale e istituzionale”. Sulla importante reazione da parte della popolazione per l’arresto del boss: “Scaldano il cuore – sottolinea Frasca – le manifestazioni di giubilo di quei cittadini che hanno espresso soddisfazione e apprezzamento per l’operato dei Carabinieri, così come fanno ben sperare le iniziative, soprattutto di giovani e di bambini, che, esternando pubblicamente e gioiosamente la netta presa di distanza da Cosa Nostra, ripongono consapevole speranza che anche queste operazioni contribuiscano ad arrivare alla verità sui misteri ancora non risolti di questo Paese: raggiungere la verità è un diritto dei familiari delle vittime e della comunità ed è un dovere delle Istituzioni. Peraltro, è triste constatare che, accanto a queste manifestazioni che richiamano il ‘fresco profumo di libertà’ di cui parlava Paolo Borsellino, persistano ancora sacche più o meno ampie di indifferenza e disinteresse, se non quando di dissenso, che impongono di non indulgere a facili e pericolosi trionfalismi”. Grande attenzione da parte di Frasca anche sul tema delle riforme e soprattutto delle intercettazioni: “L’attuale dibattito politico è divenuto infuocato con riferimento all’intenzione di riformare la vigente disciplina in materia di intercettazioni con interventi limitativi la cui portata allo stato è mutata diverse volte nelle dichiarazioni di intenti. Attualmente – sottolinea Frasca – come è noto, la materia è disciplinata dal decreto legislativo 216/2017, la cui efficienza, peraltro, non è stata neppure adeguatamente sperimentata in quanto per effetto delle ripetute proroghe è entrato in vigore poco più di due anni fa e per di più quando l’attenzione collettiva era rivolta al drammatico problema della pandemia. Eppure, leggendo con attenzione il testo normativo è agevole rilevare che si tratta di una disciplina particolarmente rigorosa quanto ai presupposti, ai limiti di ammissibilità e di utilizzazione, ai controlli: un articolato sistema che sembra del tutto tranquillizzante e garantista sotto ogni profilo. Sembra evidente, quindi, che gli ipotizzati abusi dipendano non dalla normativa ma dalla concreta applicazione della stessa, se non quando dalla sua violazione, che espongono a pregiudizio diritti e interessi tutelati dalle norme di garanzia contenute nella legge”. Ne deriva che “l’ipotesi di limitare l’impiego – spiega Frasca – delle intercettazioni non solo non risolverebbe il problema ma finirebbe per depotenziare un mezzo di ricerca della prova che si è rivelato indispensabile e insostituibile. Sotto altro profilo preoccupa molto l’idea che il Ministero della Giustizia ha ripetutamente rappresentato di intervenire in forma limitativa sui reati diversi da quelli di mafia e terrorismo, ai quali ultimi, con successive dichiarazioni, ha aggiunto quelli cd. satellite. Infatti, la diversità di regime, in mancanza di una indicazione positiva netta e chiara, poggia su una scivolosa distinzione tra reati di mafia e reati diversi. Ma soprattutto non sembra tener conto della rilevanza, anche nell’ambito delle attività delle organizzazioni mafiose, dell’utilità che ricavano dai delitti contro la P.A. e, in particolare, dalla corruzione, male endemico del nostro Paese che pone a serio rischio l’economia degli Stati e lo stato sociale”. Poi, rispondendo al Ministro della Giustizia che ha affermato che ‘i mafiosi non parlano al telefono’: “Questo può essere vero solo con riferimento alle tradizionali forme di comunicazione telefonica, e peraltro neanche in modo assoluto come dimostrato da alcune vicende processuali. Ma i criminali ricorrono a modalità sempre più sofisticate di comunicazione per intercettare le quali è indispensabile fare ricorso alla tecnologia, la cui inevitabile invasività è bilanciata dai rigorosi limiti di ammissibilità di ricorso alle intercettazioni e dalle cautele imposte in diversi momenti dalla normativa vigente che probabilmente costituisce il punto di equilibrio più avanzato tra efficienza e garanzia”, evidenzia Frasca.
Nella relazione, in cui vengono evidenziati tutti i settori della giustizia, emerge che il funzionamento dell’amministrazione della giustizia nel distretto giudiziario della Corte d’appello di Palermo, ha presentato un andamento diversificato tra i due settori della giurisdizione. Nel settore civile si registra un’inversione di tendenza rispetto all’anno precedente: infatti, dopo un anno caratterizzato da un incremento significativo sia delle sopravvenienze (6,2%) sia delle definizioni (16,6%) con conseguente riduzione della pendenza finale (-6,5%), nell’anno giudiziario 2021-22 si osserva una flessione generalizzata non solo delle sopravvenienze (-6,4%) ma anche delle definizioni (-6,5%), il che ha prodotto una flessione del numero dei procedimenti pendenti pari al 6,2%. Questo quanto emerge dalla relazione del presidente della Corte d’appello di Palermo, Matteo Frasca, che verrà presentata domani all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Tendenza analoga si osserva anche nel settore minorile, infatti, nell’anno giudiziario in esame si rileva un decremento sia delle sopravvenienze, pari al 16,1% sia delle definizioni (6%), con conseguente aumento della pendenza nella misura dello 0,4%. Per quanto attiene al dato sulle controversie ultrabiennali in Corte di Appello, come meglio esposto in prosieguo, dopo l’incremento osservato nell’anno giudiziario 2020-21 (1,1%), rispetto all’anno precedente, si rileva un decremento sia in termini percentuali (-3,4%) sia in valore assoluto (da 5.330 dell’anno giudiziario 2020-21 a 4.721). Per ciò che attiene agli uffici di primo grado, invece, si conferma il trend in aumento osservato lo scorso anno, infatti anche nell’anno giudiziario 2021-22 la percentuale di procedimenti ultratriennali è aumentata nella misura del 2%, contro il 2,7% dell’anno giudiziario precedente. Nel settore penale giudicante la pendenza in Corte di Appello è aumentata del 3,89% (da 8.262 a 8.583) mentre nei Tribunali è diminuita del 9,96% (da 51.919 a 46.748) e nel Tribunale per i minorenni del 1,18% (da 1.191 a 1.205). Negli uffici del giudice di pace si è registrato un decremento dell’8,59% (da 1.909 a 1.745 procedimenti). Nel corso dell’ultimo anno giudiziario il numero dei procedimenti costituenti l’arretrato patologico ha subito una flessione significativa sia in primo grado sia in appello. Negli Uffici di primo grado si osserva una riduzione dei procedimenti ultratriennali in valore assoluto (da 7.851 a 6.950, con una flessione dell’11,5%) mentre è rimasta sostanzialmente stabile l’incidenza percentuale (da 22,5% al 21,3%). In Corte di Appello la flessione del numero di procedimenti ultrabiennali è sia in valore assoluto (da 657 a 419, con una diminuzione del 36,2%), sia in termini di incidenza sul totale pendenti (dall’8,51% al 5,18%); va aggiunto che 262 di tali procedimenti sono già stati definiti a metà ottobre. Nel settore requirente si registra una sopravvenienza di procedimenti a carico di ‘noti” pari a 46.354 affari nelle Procure della Repubblica del distretto, ordinarie e per i minorenni, a fronte dei 46.813 del periodo precedente, con un lieve decremento pari allo 0,98%, mentre ne sono stati definiti 46.389, contro i 45.623 del periodo precedente, con un aumento dell’1,68%. La pendenza finale, pari a 37.864 procedimenti, risulta diminuita del 3,29% rispetto al 30 giugno 2021 che era di 39.153, con un tasso di ricambio pari a 100,08 (46.389 fascicoli definiti a fronte di 46.354 sopravvenuti). I dati riguardano l’attività giudiziaria del distretto di Palermo, che comprende le Procure di Agrigento, Sciacca, Marsala, Trapani, Palermo e Termini Imerese ed è per dimensioni il quinto dei 26 distretti italiani.
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