DUBAI (EMIRATI ARABI UNITI) (ITALPRESS) – Doveva essere una Cop di transizione: si è aperta – invece – con un’accelerazione la ventottesima Conferenza delle parti delle Nazioni unite sul clima. Negli Emirati Arabi gli Stati membri hanno trovato l’accordo sui dettagli tecnici del nuovo fondo per il cosiddetto loss and damage, le perdite e danni. Un sostegno per aiutare le vittime dei disastri del clima quando ormai sono accaduti, e che per questo motivo viene definito “la terza gamba della finanza climatica”: dopo mitigazione (le misure prese per ridurre le emissioni serra) e adattamento (gli interventi per prepararsi a eventi estremi), il nuovo fondo interverrà per aiutare la ricostruzione dei Paesi colpiti. Che di solito, paradossalmente, sono quelli che inquinano meno. I dettagli Cento milioni di dollari arriveranno dagli Emirati, che non hanno perso l’occasione di fare bella figura con una sostanziosa elargizione dopo le polemiche dei mesi scorsi sul fatto che per il secondo anno la Conferenza è ospitata da un paese tra i primi produttori di petrolio a livello globale. Non solo. Il presidente chiamato a guidare il vertice, il sultano Al Jaber, è anche amministratore delegato di Adnoc, la compagnia che gestisce l’estrazione del greggio nella vicina di Abu Dhabi. Altri cento milioni di euro arriveranno dalla Germania, quaranta milioni di sterline dal Regno Unito (che ne aggiungerà altri venti nell’ambito di iniziative parallele), dieci milioni di dollari dal Giappone. Si attendono ulteriori promesse, che giungeranno nei prossimi giorni. Due settimane fa l’Unione europea, con il commissario Hoekstra, aveva anticipato tutti annunciando un sostanzioso contributo. Tra gli annunci spiccano i diciassette milioni degli Stati Uniti: poco più di una fiche sul tavolo, il minimo necessario per non essere accusati di boicottare il negoziato. C’è un motivo: Washington storicamente si oppone al concetto di “risarcimento” per i danni del clima, temendo di dare la stura ad azioni legali. Il nuovo fondo sarà gestito ad interim per quattro anni dalla Banca Mondiale: una scelta criticata dai paesi più vulnerabili, che saranno, però, ben rappresentati nel board.
redazione
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